di Vito Pirruccio.
Il 24 marzo 1944 i tedeschi come rappresaglia per l’attentato dei GAP in Via Rasella a
Roma, dove rimangono uccisi 33 soldati del reggimento “Bozen”, rastrellano 335 tra
civili, militari, ebrei, prigionieri politici e detenuti comuni e li fucilano nelle cave di
pozzolana delle Fosse Ardeatine.
Quest’anno ricorre l’80° anniversario dell’eccidio e in questo lasso di tempo molto si
è scritto e accertato sull’atroce rappresaglia dei tedeschi invasori ordinata da Herbert
Kappler, il comandante della Gestapo a Roma.
Il 27 gennaio 2020, in occasione della Giornata della Memoria, un mese prima dello
scoppio della pandemia, come Istituto Comprensivo “M. Bello-G. Pedullà-Agnana” di
Siderno abbiamo ricordato la figura di Paolo Frascà, geracese morto alle Fosse
Ardeatine, con la collocazione delle “pietre d’inciampo” davanti alla Scuola M. Bello a
Siderno e alla casa di Paolo Frascà a Gerace.
L’interessante lavoro didattico, coordinato dal prof. Giovanni Spanò, iniziato
nell’entusiasmo generale degli alunni e delle famiglie, avrebbe dovuto proseguire, ma
la pandemia ha rallentato tutto e fatto saltare tante idee che erano state messe in
campo.
Con questo articolo intendo riprendere il discorso e sollecitare la ricerca storica a
scuola sul tema della Resistenza e sul ruolo svolto dai calabresi nel processo di
costruzione dello Stato democratico nato dalla lotta contro il nazifascismo.
Come
Associazione “I Care!” ci facciamo promotori di iniziative culturali affinché, nel quadro
del recupero della memoria, si consolidi il processo identitario delle giovani
generazioni.
È per questo che stiamo conducendo una serrata iniziativa sui Cinque
Martiri di Gerace e, sempre con Gerace protagonista, intendiamo in questa ricorrenza
richiamare il ruolo svolto da Paolo Frascà, Franco Napoli (nome di battaglia “Felice”)
e Giuseppe Albano.
Del ruolo di Paolo Frascà e del suo martirio alle Fosse Ardeatine ne abbiamo parlato
più volte e due giorni fa è uscito, per Einaudi Editore, il libro di Mario Avigliano e Marco Palmieri, “Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine”, e la biografia del Nostro fa
parte delle 335 ricostruzioni storiche dei caduti sotto il fuoco della barbarie nazista.
La storia del geracese “Felice” Franco Napoli (del ruolo avuto nell’attentato al Duce
durante la visita in Calabria nel 1939 fino alle attività svolte nel corso della guerra di
Liberazione) risulta di un certo interesse, anche se molto controversa, e cercherò
brevemente di richiamare alcuni episodi significativi ricollegabili alle vicende
dell’esponente socialista geracese.
Franco Napoli è attivo nelle formazioni partigiane socialiste e lo ritroviamo accanto a
Sandro Pertini, futuro Presidente della Repubblica, nella preparazione dell’assalto alla
prigione di Via Tasso previsto per il 24 marzo 1944 con l’obiettivo di liberare i
prigionieri civili e militari ivi rinchiusi.
Ma il progetto naufraga in quanto i GAP
comunisti anticipano l’azione predisposta dai partigiani socialisti con l’attentato di Via
Rasella avvenuto il giorno prima di quello programmato.
Franco Napoli, però, fa il suo ingresso nella militanza rivoluzionaria molto tempo
prima, nella Locride, quando organizza con altri cinque compagni socialisti l’attentato
fallito al Duce in occasione della visita in Calabria del 1939.
La visita di Benito Mussolini nella nostra regione è un successo riportato nei notiziari
del regime, come al solito, con grande enfasi. In effetti, la Calabria tutta si mobilita e
al Duce vengono tributate festose e massicce accoglienze: a Belmonte Calabro, per
rendere onore alla tomba del quadrunviro Michele Bianchi; nella Sibaritide per
inaugurare le opere di bonifiche; a Crotone per la posa della prima pietra per la
costruzione delle Case Popolari; a Catanzaro e, infine, a Reggio Calabria.
L’unico
episodio di palese contestazione al Duce avviene durante la breve sosta a Locri: la
moglie di Ilario Franco (l’esponente fascista cauloniese della prima ora, autore
dell’apertura della prima sezione dei Fasci di Combattimento in Calabria) restituisce
al capo del fascismo il gagliardetto ricevuto dal marito dalle donne di Fiume, in segno
di protesta per aver tradito il giuramento di San Sepolcro nel dare spazio libero agli
agrari.
Sulla tappa di avvicinamento al capoluogo reggino, nonostante le cronache ufficiali
del tempo non riportano alcuna notizia, il geracese “Felice” Franco Napoli, insieme ad
altri quattro antifascisti, cerca di portare a termine l’attentato al Duce, ma senza
successo.
Per una serie di rocamboleschi episodi, che meriterebbero, però, adeguati
riscontri documentali, il disegno di eliminare il Duce si rivela velleitario e da quel
momento iniziano i guai giudiziari dell’esponente socialista geracese.
Il richiamo ad
alcune vicende della guerra di Resistenza “Felice” Franco Napoli li riprende nel libro
autobiografico autopubblicato nel 1996 dal titolo: “Villa Wolkonsky 1943-1944 – Il
lager nazista di Roma.
Un capitolo di storia mai chiuso”, ma la critica storica solleva
molte perplessità su alcuni passaggi narrati. In ogni modo Franco Napoli lo
ritroveremo durante l’occupazione di Roma da parte delle truppe di Hitler con la sua
“Banda Napoli” a fianco del gruppo trotzkista di Bandiera Rossa e degli esponenti
socialisti della Resistenza Nenni e Pertini con i quali ha stabilito, da tempo, un certo
rapporto politico-insurrezionale.
Alcune cronache storiche parlano, persino, di un’apparizione di Franco Napoli nei
giorni di Dongo aggregato al CLN nel CIC (Counter Intelligence Corps), un’agenzia di
spionaggio degli Alleati operante sul territorio italiano per supportare lo sbarco
dell’esercito anglo-americano e la risalita delle armate alleate lungo lo Stivale.
Non ci
avventuriamo, però, in questi misteri della Storia che periodicamente riaffiorano e
che spetta alla ricerca farne possibilmente piena luce.
L’altro interessante personaggio bifronte è Giuseppe Albano, soprannominato “Il
Gobbo” per via di una malformazione causata da una caduta quand’era bambino.
Giuseppe Albano nasce a Gerace il 23 aprile 1926 e a soli dieci anni, a causa delle
ristrettezze familiari, si trasferisce a Roma a coi genitori nel quartiere del Quarticciolo,
l’ultima borgata romana costruita dal fascismo.
In questo sobborgo della Capitale,
abitato da operai, disoccupati e dai mille volti del proletariato urbano, “Il Gobbo” si
fa strada e a 16 anni diventa il capo riconosciuto dei giovani rivoltosi di Quarticciolo e
Centocelle.
Più che da un ideale politico Giuseppe Albano viene spinto dalle condizioni
socio-economiche in cui vive. Fa da traino al suo ingresso nella Resistenza il suo
compaesano Franco Napoli, alias “Felice”, che instrada i giovani provenienti dal
sottoproletariato di Quarticciolo nei gruppi di assalto alle truppe naziste che risalgono
l’Italia in ritirata e occupano la Capitale.
In una di queste azioni la banda del “Gobbo”
uccide una cinquantina di nazifascisti e per rappresaglia all’eccidio delle Fosse
Ardeatine il 10 aprile del 1944 il gruppo di Giuseppe Albano giustizia tre militari
tedeschi nel quartiere Quadraro.
La reazione tedesca non si fa attendere e, dopo poco
tempo, vengono rastrellati 700 uomini e tra questi “Il Gobbo” il quale, portato in Via
Tasso, subisce tremende torture.
La salvezza per i rinchiusi nella casa della tortura avviene grazie all’intervento delle
truppe americane entrate a Roma il 4 giugno 1944 e, così, anche Giuseppe Albano
torna in libertà.
Da questo momento in poi, “Il Gobbo” assume i panni di Robin Hood e la caccia ai
fascisti e a chi si era arricchito con la “borsa nera” dà presto i suoi frutti.
L’esproprio
proletario è la sua nuova missione “politica” e lo ritroviamo tra i quartieri malfamati
di Roma a distribuire generi di prima necessità alla popolazione.
Giuseppe Albano cerca di farsi una vita legale e, pare, venga infiltrato su consiglio di
Nenni e Togliatti nei gruppi di “Unione Proletaria” che, a dispetto del nome, il
movimento monarchico aveva creato per provocare le forze di sinistra e intorpidire,
ancora di più, le acque agitate della politica post-fascista in vista del nuovo assetto
istituzionale che si va delineando.
Sarà lo stesso Gobbo, infatti, a sventare nel
novembre del ’44 un attentato alla manifestazione unitaria PCI-PSI. Però, l’azione
preventiva portata avanti con successo da Giuseppe Albano o non passa inosservata e
senza conseguenze: il 16 gennaio 1945 viene freddato con un colpo di pistola mentre
esce dalla sede dell’Unione Proletaria del civico 12 di Via Fornovo.
Finisce, appena diciottenne, la vita “rivoluzionaria” di Giuseppe Albano che ispirerà
Carlo Lizzani, nel film “Il gobbo” del 1960, con Anna Ferrero, Gérard Blain e l’esordio
sul set di Pier Paolo Pasolini nel ruolo di Leandro er Monco.
Negli anni ’70 le gesta di
Giuseppe Albano ritroveranno un nuovo interprete in Tomas Miliam, nelle pellicole
poliziesche dirette da Umberto Lenzi.
L’Associazione Museo della Scuola “I Care”, nell’ambito della Festa del Libro che avrà
luogo a Caulonia dal 23 al 25 aprile prossimi, in collaborazione con l’Amministrazione
Comunale di Caulonia, riporterà in piazza la storia di Giuseppe Albano con la
presentazione del libro di Bruno Gemelli “Il Gobbo del Quarticciolo” – Vita e morte del
calabrese Giuseppe Albano -, Edizioni Città del Sole.
Una storia nell’Italia della Resistenza di 80 anni fa e di uno di 16 anni
proveniente dalla Locride e cresciuto nella miseria dei sobborghi romani in piena
occupazione nazifascista.
Un ragazzo di Calabria entrato, forse a sua insaputa, nella
storia dell’Italia liberata.