“INVITO APERTO” O “AFFIDAMENTO DIRETTO”?
Nel bel mezzo delle ferie d’agosto, alla chetichella, quando forse tutti gli interessati erano a fare altro, la società Porto delle Grazie ha pubblicato un bando per assegnare il ristorante del porto per i prossimi anni (nota bene: fino a sedici anni, cose mai viste prima!). Non un bando qualsiasi, vista la possibile durata quasi ventennale e che il valore dell’appalto ammonta a svariati milioni di euro, considerato quanto lavorava e guadagnava il famoso ristoratore del porto che fu e che è fuggito senza pagare nulla.
Il bando è chiamato “invito aperto”, forse perché, prima ipocrisia di chi lo ha materialmente scritto, così suona meglio. Il testo dell’invito a loro dire “aperto” (e vedremo i requisiti per partecipare…) è però accessibile a pochi, pochissimi, forse a uno o due soggetti su tutta la costa che va da Reggio Calabria a Catanzaro e ritorno. Ma andiamo per ordine.
Il linguaggio dell’invito è ampolloso, in un italiano maccheronico. Si capisce che chi lo ha scritto non ha problemi solo con il diritto, ma anche con l’ortografia (figlioli, superfice si scrive con la “i”!). Alcuni passaggi e non a caso quelli più importanti sono poi assolutamente criptici e cervellotici, con tanto di quozienti, numeratori, denominatori e formule matematiche che sembrano voler portare a un solo risultato. Non vi anticipiamo la soluzione del rebus, ma una cosa noi l’abbiamo capita. Il bando, anzi no l’”invito aperto” è stato scritto in modo da non voler far capire l’operazione che si sta portando avanti. Proviamo a chiarire.
Nella premessa si dice che la società Porto delle Grazie non è una “in-house”. Sono società in-house quelle cui partecipano amministrazioni pubbliche per erogare servizi di pubblica utilità (la Jonica Multiservizi), che poi sono le uniche cui i comuni dovrebbero partecipare. Ma questa è un’altra storia e non vogliamo entrare nel discorso di come e perché il comune di Roccella controlla la società Porto delle Grazie. Il movimento Roccella Bene Comune, voce isolata e fuori dal coro, ha parlato di questo e di tante altre storture ad opera di questa amministrazione comunale. Ma torniamo al bando.
Capito che il Porto delle Grazie non è società in-house, rimane, comunque, che è una società a maggioranza pubblica. E se è così, non si ha allora in primis l’obbligo morale e politico prima che giuridico, di emanare bandi effettivamente aperti a tutti gli interessati? Avvertiamo subito che ci limiteremo a fare domande, per lasciare a chi di dovere di dare risposte chiare ed esaurienti, che la cittadinanza ha il diritto di conoscere, malgrado che gli esimi rappresentanti di questa amministrazione comunale si diano da fare per convincerci che la Calabria è rimasta al medioevo e che ancora regnano logiche feudali. Non è ancora così.
Per il codice degli appalti, la società a maggioranza pubblica può essere “organismo di diritto pubblico”, cioè ente soggetto all’autorità del codice degli appalti. Di questo aspetto nulla c’è specificato nell’invito; a esser pignoli, il codice degli appalti non è nemmeno citato. Più volte si cita infatti il D.Lgs. 36/2003 che però è il cosiddetto “decreto discariche” che con il porto non c’azzecca nulla. C’azzecca però chi nota quanta poca attenzione è stata messa sul rispetto delle regole sugli appalti (superficialità?) e quanta attenzione invece è data agli stringenti requisiti per partecipare (o se la si vede al contrario, per non far partecipare) e agli astrusi punteggi per assegnare l’appalto (ipocrisia?).
Nella sostanza però, questo aspetto non è pignoleria. Non sappiamo in base al “decreto discariche”, ma per il codice degli appalti, occorre sempre garantire alcuni supremi criteri come la massima partecipazione possibile di soggetti interessati al bando, la totale trasparenza delle informazioni a beneficio di tutti, l’assoluto rispetto dell’equità tra tutti i soggetti potenzialmente interessati e degli effettivi partecipanti, in condizioni di massima concorrenzialità possibile. Siamo certi che qui sia avvenuto o avverrà?
Nell’invito si dice che la società “non è vincolata a una osservanza pedissequa e puntuale” delle regole. Si vuol dire che si fa piuttosto in modo discrezionale? Ma allora osservanza non c’è? “Invito aperto” sembra alludere alla “procedura aperta” prevista dal codice degli appalti. Ma siamo sicuri che qui sia così? Nel bando si parla di trasparenza, equità e concorrenza, ma nei fatti a noi pare che non sia così. Diamo facoltà di chiarirlo a chi vorrà risponderci o comunque interessarsi della vicenda. Noi annotiamo quanto segue.
Si parla di un bando di un valore potenzialmente milionario, fino a sedici anni di durata, cioè per quasi l’intera vita residua della concessione demaniale alla società Porto delle Grazie, che scade nel 2044. Si parla in altre parole di assegnare, una volta per tutte, l’attività più redditizia che si può avere nel porto!!!
E come lo si fa? Con un invito aperto che aperto non è visto che può partecipare solo chi, negli ultimi tre anni ha avuto un fatturato medio anno per anno, superiore al milione e mezzo di euro. Proprio così. Pensiamoci bene: quante aziende di ristorazione ci sono tra Reggio e Catanzaro che hanno questi fatturati? Una soltanto? Forse due? Già questo sarebbe abbastanza per capire con cosa abbiamo a che fare e che la quasi totalità dei soggetti potenzialmente interessati è già esclusa in partenza, non potendo neanche partecipare alla gara. Alla faccia della massima partecipazione e della non restrizione della concorrenza!!
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Una delle clausola più scandalose del bando: pretendere che il partecipante abbia fatturato 1 milione e mezzo di euro per ogni anno nel 2020, 2021 e 2022, anni peraltro delle ristrettezze del Covid in cui tutti i ristorante sono stati chiusi. Questa ed altre clausole fanno indirizzare alla vittoria del bando una sola azienda presente nel territorio, quella lì che ormai conosciamo da mesi nonostante il bando scade domani 15 Ottobre. Una vergogna assoluta!!! |
Si aggiunga poi il fatto che chi è già in porto con una attività economica nemmeno può partecipare e che ci vogliono i bilanci societari per partecipare, il che esclude anche le ditte individuali se mai ce ne fossero. Ma il punto è che attività di ristorazione con quel fatturato annuo non arrivano alle dita di una mano neanche nell’intera Calabria (soprattutto se consideriamo che negli anni immediatamente precedenti c’è stata la pandemia). Né possiamo pensare che il bando sia rivolto a ristoratori milanesi o della Versilia...
Il fatturato minimo per partecipare non si giustifica neanche con gli investimenti richiesti agli interessati. Nel bando si parla genericamente di investimenti annuali e triennali ma non si precisa né cosa si vuole né quanto sarebbe il minimo richiesto. Cioè in altre parole si dice al fortunato soggetto con quel bel fatturato che al porto può fare quello che vuole. E lo può fare per quanti anni vuole, fino a sedici. Penserete voi, si, ma chissà per quale canone!? E invece no! il canone annuo previsto è anche inferiore a quello che anni fa si era impegnato a pagare il famoso ristoratore sfrattato per morosità. Qui si parla di poco più di duemila euro al mese (€ 28.000) che è quello che oggi si paga per una rosticceria di paese, non per l’unico locale che affaccia sull’unico porto del circondario. Stessa cosa pure se il contratto durasse sedici anni. Non è previsto nessun obbligo supplementare di investimenti sulla struttura dopo i primi tre anni e mai e poi mai un canone variabile, calcolato ad esempio sui ricavi, per neanche uno dicasi un anno di occupazione. Si chiede solo il 75% della rivalutazione ISTAT. Tanto pagherebbe il super ristoratore per alzare l’asticella (quale?) che poi è sempre molto ma molto meno di quanto gli ultimi affidatari del servizio hanno pagato per tre mesi nel 2022: ben trentasei mila euro, cioè dodici mila euro al mese (sei volte di più al mese, avete capito!?!).
E non è ancora tutto. Da principio nel bando si parla di “locazione di ramo di azienda”. È noto a tutti che la società Porto delle Grazie non ha mai esercitato tale attività per cui non si capisce di quale ramo di azienda si parli. Ma poi si parla di “locazione” e non di “subconcessione” come stabilisce il codice della navigazione a cui pure si fa riferimento in premessa e alla fine del bando. Non si tratta di una parola a posto di un’altra o di semplici tecnicismi su cui l’autorità marittima ha comunque l’onere di vigilare. Chi è affituario (locatario) di un locale commerciale alla fine del contratto ha diritto a una indennità di avviamento ( cosiddetta “buona uscita”) pari a diciotto mensilità. Sarà per questo che si scrive locazione? Ah saperlo, ma certo a fare tutti i conti non potrà mai essere un grande affare per la società del porto e per le tasche dei cittadini che contribuiscono o garantiscono per l’interposto comune di Roccella.
Trasparenza poi vuol dire prima di tutto un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti. Ricopiamo di seguito la formula che verrebbe utilizzata per stabilire l’eventuale vincitore (nel caso in cui ovviamente vi siano più partecipanti): P = (CCP/10000*03) + (BE/10000*0,2) + (DATI*0,2) + (I1/10000*0,1) + (I2/10000*0,1) + (MQ/10000*0,1) (D*0,4) + (DATD*0,3) + [(TA+1)*0,2] + (RO*0,1) . A parte che ci sembra mancare un segno aritmetico dove nel bando si va a capo, ma per chi legge è o no tutto chiaro e trasparente?
Curioso poi che il peso (20%) dei lavoratori che saranno assunti con contratto a tempo indeterminato è inferiore a quello (30%) dei lavoratori precari a tempo determinato. Qualunque pubblica amministrazione è portata a privilegiare i primi e non i secondi. Anche questo sembra un favore fatto all’operatore che sarà.
Ma poi equità e concorrenza vuol dire non escludere nessuno senza un giustificato motivo oggettivo. Qui di motivi che possono giustificare la restrizione della concorrenza (la impossibilità di partecipare) a danno di quasi tutti gli operatori di zona, visto il fatturato minimo richiesto, non ne è indicato nemmeno uno.
Attenzione poi, non si chiede solo un fatturato minimo di un milione e mezzo di euro. È Incredibile ma vero, per poter partecipare è previsto anche che il potenziale concorrente eserciti l’attività di ristorazione da almeno dieci anni e che lo faccia alle seguenti ulteriori condizioni. Da un lato è previsto che tale ristoratore svolga l’attività utilizzando una superficie superiore a tanti metri quadri, tanti all’interno e tanti all’esterno. A riprova di questo si chiede la visura catastale! Da un altro lato, si vuole ancora che lo stesso ristoratore in tali anni abbia impiegato almeno tot lavoratori a tempo indeterminato, con tanto di certificazione del consulente del lavoro alla mano (perché non quella dell’INPS?). E infine che le recensioni dei suoi clienti su Tripadvisor (proprio così) non siano eccellenti o superiori a un certo valore (che già sarebbe stato strano), ma che il rapporto tra eccellente e scarso ammonti a una determinata percentuale. Ma guarda un po’. Ci sarà mai un soggetto che risponde a tutti questi requisiti? E chi potrà mai essere?
Nessuno vuole malignare sul fatto che il bando sia stato cucito su misura su questa o quella impresa e che sulla base di queste condizioni sia, come dire, “blindato” prima ancora di iniziare. Certo però ciascuno è libero di andare a verificare quante imprese nel raggio di duecento chilometri abbiano queste esatte e precise caratteristiche. Noi poniamo la domanda e con fiducia rimaniamo in attesa di una risposta da parte della società o dell’amministrazione comunale in carica che, certamente, in assemblea dei soci o tramite i suoi uffici avrà avuto un ruolo importante nella redazione di questo “invito aperto” (ma a chi?).
Di cose che non si capiscono ce ne sono tante altre. In caso di unica proposta, il concorrente unico dovrà attenersi a quanto scritto in domanda (al bando no?). La società poi potrà negoziare ulteriori clausole a seguito della proposizione della domanda? Trasparenza ed equità vogliono anche che i termini dell’avviso siano sempre inviolabili e inderogabili, anche se partecipa solo un soggetto. E che vuol dire ancora che la società si riserva di provvedere all’affidamento a trattativa diretta? Che senso ha insomma fare un bando in apparenza aperto se poi si può affidare il servizio a trattativa diretta o alle condizioni che si negoziano poi??
Siamo certi che il comune di Roccella nell’ambito delle sue prerogative, vista anche l’esperienza pluriennale come stazione appaltante, avrà svolto controlli preventivi sulla regolarità formale e sostanziale dell’avviso. O che vorrà farli dopo che si osserva tutto quanto è qui annotato. Possiamo averne diretta conferma? O dite che sono domande da farsi al responsabile del procedimento? Troppo tardi e poi, francamente non ci sembra che a giudicare dai titoli di studio posseduti il direttore del porto, che è stato indicato quale responsabile del procedimento, ovvero l’attuale amministratore dello stesso, abbiano le competenze tecniche di natura giuridica ed economica necessarie. Qui non è un problema di forma ma di sostanza. La società Porto delle Grazie è una società di capitali a responsabilità limitata. Ciò vuol dire che la società deve essere gestita da professionisti adeguati e così pure le sue procedure. In generale l’adeguatezza dell’organizzazione di ogni società può essere esimente nel diritto penale commerciale; mentre l’inverso se non aggrava è indice di un modello di organizzazione inadeguato e come tale pericoloso. Che ha ancora da dire il comune di Roccella, socio di maggioranza, su questo?
Da cittadini di questo nostro amatissimo paese, avremmo poi voluto che i vertici della società o il comune per loro dimostrassero che c’è una visione di sviluppo del porto per i prossimi venti anni. Non un bando e basta. Qual è poi la prospettiva che questo bando mostra? Venga il signor 1,5 milioni di euro di fatturato e faccia del porto quello che vuole per tutto il tempo che resta della concessione. Senza riguardo al bene dell’azienda, del territorio o di quello che potrà accadere anche politicamente nei prossimi anni. Più di tutto senza avere cura di cosa avrà questi ad offrire ai clienti e a come potrà trasformarsi il porto. Non una riga del bando è dedicata alla proposta commerciale e gastronomica o al tipo di accoglienza turistica che l’operatore sarà chiamato a svolgere. Che tipo di cucina? Sushi o calabrese? Offrirà prodotti freschi locali o surgelati oceanici? Sarà in grado di accontentare i diportisti che cercano uno specifico tipo di servizio e di dialogare con i turisti del nord o con gli stranieri che pure lì abbondano? Ristrutturi l’immobile ma così? Si fissa un canone calmierato ma lo induciamo a fare investimenti e assunzioni (purché in autonomia)?
L’amministratore De Cet che ha firmato il bando non ha precisato i motivi delle scelte fatte, sotto nessuno dei profili che abbiamo indicato. Lo può cortesemente fare adesso che è comunque meglio tardi che mai? Pensare che la premessa del bando sembrerebbe essere quella di “innalzare gli standard”. E come? Ci dica.
Un’ultima annotazione su chi deciderà la partita. Se non fosse già chiaro a tutti su chi comanda in porto, nel bando è scritto che la commissione di valutazione sarà scelta dall’assemblea dei soci cioè dal sindaco del comune di Roccella che ha la maggioranza delle quote. La maggioranza dei commissari è appannaggio suo.
Certi di non essere cattivi profeti ma cittadini di buona volontà desiderosi di proteggere il bene comune, restiamo in attesa di puntuali riscontri su tutti i punti di domanda che abbiamo qui sollevato.
Associazione politico culturale
“Roccella Bene Comune”