di Carlo Maria Muscolo
Domenica scorsa un peschereccio con oltre cento persone e parecchi bambini, dopo una navigazione particolarmente difficile e solo grazie al lavoro di tre motovedette delle Guardia Costiere di Siracusa, Catania e Roccella, è riuscito ad attraccare nel porto di Roccella.
Foto: Luca Daniele |
Il tutto è stato seguito in diretto da una tv locale che consentiva agli spettatori di esprimere commenti al riguardo.
Si è letto di tutto, espressioni di solidarietà ed altrettante di becero razzismo, espressioni di un malessere diffuso ed inaccettabile, perché contrario alle più elementari regole del convivere civile, della cultura dell’accoglienza e solidarietà che è fondante la nostra comunità.
Viene obbligato chiedersi le ragioni, darsi una chiave di lettura.
La crisi economica amplifica il risentimento? Insomma, ci stiamo scoprendo razzisti? La reazione contro gli immigrati c’è sempre stata, ma era accompagnata da una crescita continua. Quando arrivavano in Inghilterra persone dal Pakistan e dall’India o dalle Indie occidentali, in Francia dal Marocco e dall’Algeria, in Germania dalla Turchia e dall’Africa del Nord, potevano anche verificarsi episodi di razzismo, che comunque restavano circoscritti.
In Italia l’immigrazione è un fenomeno molto più recente ed è maturato in un momento di diffuse difficoltà economiche, complesse e pesanti per molte zone della società, che in molti casi amplifica il risentimento sociale rivolto verso l'immigrato.
Questo, secondo me, spiega un po’ la ragione dell'insorgenza di forme di razzismo più evidente che altrove. Non è una questione di quantità di persone.
I Paesi più razzisti in questo momento sono l’Ungheria e la Polonia, dove i tassi di immigrazione sono bassissimi, ma l’odio verso l’altro è determinato dalla costruzione di una identità ungherese e polacca, dopo l’uscita dal sistema sovietico.
Credo vada invece richiamata l’attenzione sul concetto di luogo: chi emigra lascia il posto dov'è sempre stato con tutte le certezze annesse, seppur negative, che contiene.
Parte, va verso l’ignoto, rischiando anche la vita. In un certo senso i migranti rifiutano il concetto stesso di luogo per andare verso l’avventura. E’ una scelta che spiazza e scompensa chi invece resta arroccato alle certezze del proprio posto, vedendo arrivare persone che hanno operato una scelta inversa.
E su questo fuoco di contraddizioni, soffiano i “cacciatori di voti", l’Italia non è per nulla speciale in questo campo. Dopo tutto, il 30 per cento dei francesi ha votato per Marie Le Pen, le cui politiche non sono molto diverse da quelle di Salvini, e in Gran Bretagna, probabilmente, le stesse inclinazioni politiche avranno ottimi risultati, senza contare quello che è stato Trump che addirittura voleva fare un muro per bloccare i messicani, in un Paese che senza gli immigrati neanche esisterebbe.
La realtà è che si va a caccia di voti nel modo peggiore possibile. E' necessario capire e far capire che anche se ci fosse un calo massiccio dell’emigrazione in Europa, la crisi economica ci sarebbe lo stesso e che le sue ragioni vanno cercate altrove.
In questo contesto generale, come non preoccuparsi delle voci razziste e prive di sentimento che hanno accompagnato l’ultimo sbarco? E che fare per far riflettere chi esprime opinioni oltranziste che forse non gli appartengono?
Credo la miglior cosa sia ricordare chi siamo stati tutti noi, gli anni della emigrazione verso terre lontanissime prima e verso terre più vicine dopo.
Ad esempio, cosa è stata l’immigrazione degli anni cinquanta e sessanta, dal sud verso Torino.
Nell’immaginario di chi emigrava, Torino assumeva i contorni di una realtà capace di offrire casa e lavoro, ponendo fine alla miseria ed agli stenti nella terra natia. In realtà l’incontro tra le genti del sud ed i torinesi, assunse contorni frastagliati e spigolosi. Discriminazione dura, cartelli affissi alle porte pieni di insulti e rifiuto, un comportamento, all’epoca, alimentato anche dal giornale locale “La Stampa”, che, lontana dallo svolgere un ruolo di avvicinamento, alimentava sulle proprie pagine il fuoco dell’emarginazione.
Ecco, se avete voglia di capire davvero, prima di scrivere l’assurdo dettato dalla rabbia e dall’ignoranza, fatevi raccontare dagli anziani che avete in casa, qualcuna di queste tristi storie o, prendete in mano un buon libro, ad esempio vi aiuterebbe molto il “Popolo di mezzo” dell’Amico Mimmo Gangemi, da poco pubblicato.
Articolo pubblicato sulla Riviera del 2 maggio 2021.