Fonte:
http://portale.loradellacalabria.it/
di Simona Musco
Roccella, il dramma di Antonella e di una squadra di basket decimata del cancro.
Faceva parte della rosa che a cavallo tra gli anni '80 e '90 giocò anche in serie B.
«Mi sento piccola di fronte a queste cose, c’è molta indifferenza. Perché? Non lo so. So solo che quattro miei amici sono morti ed io sono l’unica rimasta a poter raccontare questa storia». Antonella – il nome è di fantasia – sorride amaramente mentre racconta la sua storia. Sembra una donna forte, come tante altre, ma lei, 48 anni compiuti da poco, nel 2001 ha scoperto di essere malata.
«Ho un linfoma “non Hodgkin”», racconta. Si tratta di una neoplasia maligna del tessuto linfatico, un problema raro di cui Antonella non si libererà mai, «perché non risponde alle terapie e in più può trasformarsi e diventare aggressivo». Ma lei non è l’unica ad aver avuto problemi di questo tipo. Antonella, un passato da sportiva, condivideva le sue giornate assieme alle sue amiche.
Facevano parte della squadra di basket, un fiore all’occhiello della Roccella a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, finita anche in serie B. Frequentavano tutte il palazzetto di viale degli Ulivi in quel periodo, assieme a molti altri sportivi della zona. Antonella e tre sue amiche, metà di quella squadra vincente, si sono ammalate. E assieme a loro si è ammalato anche Giuseppe, che giocava a pallavolo.
Di loro cinque, solo Antonella è rimasta viva, a raccontare quei punti interrogativi che da tempo si trascina dietro. «Il gruppo cardine della squadra si è ammalato. Eravamo noi quelle che passavano più tempo sul campo, sempre assieme. Frequentavamo assiduamente lo stesso posto sin da ragazzine. Nessuno ha mai indagato su quanto è avvenuto e di certo non possiamo dare colpe a nessuno.
Io posso solo dire che quando entravamo in campo c’era un odore molto forte che proveniva dal tendone, che è stato sostituito solo dopo 10 anni. Molte delle persone morte a Roccella negli ultimi tempi hanno praticato sport negli anni. Allora è lo sport che ci uccide?», si chiede Antonella. Che poi racconta anche dell’ingiustizia subita: «Avevo fatto richiesta per una piccola pensione. All’inizio mi è stata data, per un totale di 230 euro.
Dopo due anni – sottolinea – mi hanno richiamata a visita e come spesso accade mi hanno tolto la pensione, anche se la mia è una malattia invalidante».
Che la colpa sia dei locali nei quali si allenavano, ovviamente, non può dirlo. Ma qualche dubbio comunque ce l’ha, anche se Roccella sembra essere un focolaio di tumori.
Il primo a lanciare l’allarme è stato Nicola Iervasi, un cittadino attivo che cura un blog – “Roccella siamo (anche) noi” – e che ha cominciato a registrare i numerosi casi, ponendosi alcune domande. «Premesso che non possiamo stabilire quali siano le cause scatenanti di un tumore - afferma –, possiamo però ipotizzare che, laddove ci sono delle condizioni ambientali ad alto tasso radioattivo o cancerogeno, le percentuali di decessi abbiano dei picchi molto alti.
A Roccella Jonica nessuno si è mai interessato a sollevare il problema, nonostante le percentuali di mortalità per leucemia e forme tumorali siano in drammatico aumento, tanto che per ogni due mortalità nel nostro paese una è per tumore, fino all’escalation di un mese fa, quando in soli 35 giorni sono decedute sei persone una dietro l’altra, per diverse forme di tumore».
Nessun allarmismo ma la statistica è molto strana, anche perché Roccella conta poco più di 6mila abitanti. Da qui l’invito di Iervasi affinché chi di competenza «facesse delle analisi ambientali» che fugassero ogni dubbio. «Consideriamo pure che Roccella per 20 anni ha avuto una discarica a soli tre chilometri dal centro abitato, sequestrata e chiusa dalle forze dell’ordine nel 1998; buona parte delle condotte cittadine dell’acqua dei nostri rubinetti sono in cemento amianto, risalenti a prima del 1970; tantissime abitazioni sono ancora rivestite in eternit e anche laddove le coperture vengono rimosse spesso non vengono smaltite in maniera adeguata; nel cuore del paese si ergono antenne telefoniche e ripetitori che speriamo non siano portatori di elettrosmog; fino all’ultima emergenza dell’acqua della sorgente Finocchio, con un tasso di arsenico il doppio rispetto a quello consentito dalla legge», elenca Iervasi.
E se le istituzioni, al momento, non muovono un passo, c’è chi ha deciso di muoversi autonomamente. È il caso del familiare di una vittima del tumore, esperto nel campo medico, che ha deciso di effettuare uno studio sui casi che hanno colpito la popolazione della Locride. Uno studio statistico che, in assenza di un registro tumori, potrebbe costituire un’ottima base di partenza per affrontare una questione spinosa e quanto mai attuale.