"La pezza è peggio del buco” o detta in salsa veneta “pezo el tacón del buso”.
di Vito Pirruccio*
“La pezza è peggio del buco” o detta in salsa veneta “pezo el tacón del buso”. È quanto emerge dal ripensamento operato, dietro sollecitazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito, dall’Istituto di Rovigo teatro dell’azione delinquenziale che ha visto, nell’ottobre scorso, la docente impallinata e derisa da quattro studenti.
La vicenda è nota: 4 ragazzi sparano palline con una pistola ad aria compressa all’indirizzo della professoressa intenta a spiegare, riprendono la bravata con il telefonico e le immagini fanno il giro del mondo sui social. A conclusione dell’anno scolastico tutti promossi con otto e nove in comportamento. Il clamore della notizia suscita naturalmente viva indignazione, per cui interviene il Ministro Valditara con un’ispezione a conclusione della quale il 27 giugno scorso la dirigente scolastica Isabella Sgarbi riconvoca il Consiglio di Classe e viene rivista la valutazione. Ergo: “Abbiamo applicato – dichiara la preside – la media dei voti in condotta del primo e secondo quadrimestre…, rifatto lo scrutinio e i voti di condotta dei 4 studenti coinvolti nella bravata vengo abbassati a 7, per chi aveva avuto 5 nel primo quadrimestre e 9 nel secondo, e 6 per chi aveva avuto 5 nel primo quadrimestre e 8 nel secondo “(Notizia pubblicata sul Gazzettino.it il 27 giugno 2023). Tutto chiarito? Per nulla! Forse la pezza è peggio del buco. Perché?
Andiamo per gradi.
Che un’ammenda su una trovata geniale quale quella tirata fuori dal Consiglio di Classe durante lo scrutinio finale dovesse esserci non ci sono dubbi. Però non tanto in termini di revisione del giudizio sul voto di condotta attribuito, a dir poco, con ampia superficialità, ma, ci saremmo aspettati, l’emersione del “travaglio dialettico” vissuto da quel Consiglio di Classe. Ci saremmo aspettati che venisse fuori, prima ancora della revisione del voto, l’analisi del percorso seguito dai singoli componenti in modo tale che nella stessa assurdità si riuscisse a trovare, almeno, un minimo di ratio.
Lo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito con l’invio degli ispettori non doveva chiedere e forzare sulla revisione del giudizio di condotta, che suona francamente come una rincorsa per correre ai ripari, ma perseguire il ripristino dell’autorevolezza di un’istituzione, qual è la scuola, al di là dell’incomprensibile decisione assunta nello specifico dal Consiglio di Classe e dalla dirigenza dell’istituto in parola, pretendendo che emergesse, se c’è stato, il travaglio di una decisione o, persino, la stessa dabbenaggine dei protagonisti. Solo a seguito di tale riscontro si poteva, anzi si doveva, arrivare alla revisione della valutazione, anche se non con la salomonica media aritmetica dei voti tra primo e secondo quadrimestre.
La pezza della revisione del voto senza aver visionato il percorso seguito e senza l’applicazione di una griglia di valutazione capace di scandire tutti i passaggi è una riparazione alla men peggio che somma superficialità a superficialità.
Se è vero quello dichiarato dalla dirigente dell’Istituto di Rovigo dopo la riconvocazione del Consiglio di Classe e riportato nell’articolo apparso su Gazzettino.it: “Abbiamo applicato le medie tra i voti in condotta del primo e del secondo quadrimestre”, non solo la collega svilisce il ruolo istituzionale della scuola, ma fa emergere una chiara ignoranza dei concetti basilari della valutazione. Ma quando mai la valutazione viene operata per media aritmetica? In quale manuale docimologico è scritta una tale assurdità? Ricordo ai non addetti ai lavori che la valutazione è un processo di osservazione sistematica non un calcolo sulla media dei voti, in particolare quando investe un arco temporale di osservazione. Specie se trattasi di valutazione del comportamento o condotta che dir si voglia. Solo in sede di Esami di Stato, durante i quali si è chiamati a valutare più prove (apprendimenti disciplinari da risultato) e nel corso di una sessione specifica, la stessa normativa richiama l’applicazione della media aritmetica. Ma mai, dico mai, nella valutazione del percorso, qual è lo scrutinio intermedio e finale a cura del Consiglio di Classe, si applica la media aritmetica dei voti. Neanche il docente nella sua disciplina deve valutare per media aritmetica e se lo fa tradisce il significato stesso della valutazione che non è un “giudizio chiuso”, ma un itinerario di apprendimento che guida sia l’allievo che il docente.
Non la posso fare lunga per esigenze di spazio giornalistico, ma la vicenda dell’Istituto di Rovigo ci consegna una serie di lezioni.
La prima: la scuola è in caduta libera e non c’è distinzione tra Nord-Centro-Sud. Anzi, come mi son permesso di dire in una puntata de “Lo sguardo di I care!” discutendo di questa vicenda nella Scuola di Platì, per quanto riguarda il rispetto verso gli insegnanti, anche se si incontra qui da noi in Calabria qualche segnale inquietante, la nostra scuola di periferia (lo dico con estrema amorevolezza), tutto sommato, ha molto da insegnare alle aree “progredite” del Paese. Ed è il caso di dircelo con una punta di orgoglio.
La seconda: la scuola deve conquistarsi l’autorevolezza perduta con la serietà del lavoro dei suoi insegnanti e dei suoi dirigenti. La vicenda di Rovigo ci interroga con un’osservazione semplice: nel Consiglio di Classe ci sono in media 10 insegnanti e un dirigente che presiede. A proposito del Preside, capisco che è diventato un manager globetrotter, ma è importante che segua e presieda tutti i Consigli di Classe, senza delegare. Altrimenti viene meno l’omogeneità della valutazione, viene meno la sua funzione principale di raccordo didattico-educativo e si dà il cattivo segnale della valutazione come semplice disbrigo burocratico di un momento qualsiasi della vita scolastica, mentre è il momento più importante e il più incisivo per i numerosi risvolti di ordine formativo ed educativo.
Ritornando al Consiglio di Classe di Rovigo. A limite potrei capirei l’errore marchiano se a valutare fosse stato il singolo insegnante, ma dieci insegnanti e un preside a cosa stavano pensando in quel momento?
Un altro elemento di riflessione: lo scrutinio è il momento della massima riflessione, della concentrazione e dell’ordine. Non è ammesso il fuggi fuggi generale al quale spesso si assistente in questi frangenti della vita scolastica. La fretta è una cattiva consigliera. A buon intenditore poche parole!
La terza: bisogna riprendere il concetto di autonomia unitamente a quello di libertà di insegnamento (l’altra vicenda della docente di Chioggia, originaria della Calabria, destituita per essersi assentata 20 anni in 24 anni di servizio, docet!). C’è in circolazione un errato concetto di autonomia e una latitanza degli organi deputati ai controlli allarmati, solo, quando esplodono gli scandali. Il discorso sarebbe troppo lungo, ma un dato è certo: finiamola con la scuola manageriale, perché la scuola è applicazione educativa e formativa portata avanti da bravi educatori e formatori dediti al lavoro. Di manager francamente non solo non se ne avverte il bisogno nella scuola, ma sono già troppo rari quelli che operano nei settori ad economia di profitto. Figuriamoci se noi docenti elevati a dirigenti scolastici possiamo mai definirci tali!
*Preside in pensione e Presidente dell’Associazione Museo della Scuola “I Care!”