LA DEBOLEZZA DEL POTERE ROCCELLESE
di Carlo Iannuzzi
Quando si è nel torto e non si è in grado di rispondere con i contenuti e con la forza della ragione, l’unica strada è quella della violenza verbale e dell’offesa. Non si spiegherebbe altrimenti il perché la sola presenza di una persona, di un cittadino roccellese, che entra in una struttura pubblica possa scatenare l’ira dei signori Zito e Staiano, con il primo a urlare e sbattere i pugni sul tavolo e il secondo a tremare e a dare in escandescenza trattenuto a stento dai presenti con un linguaggio degno di tristi e volgari burattini infantili a cui hanno toccato il padrone. Il tutto, sia chiaro, senza che fosse stata detta una sola parola.
Qualche settimana fa Manuel Castells, in un suo pezzo pubblicato su La Vanguardia dal titolo “Dignidad: el derecho a ser y a decidir quién se es”, scriveva testualmente: «Amartya Sen e gli altri studiosi dello sviluppo non parlano solo di miglioramenti nell’istruzione, nella sanità, nelle politiche abitative e nelle condizioni di vita delle popolazioni. Questi sono miglioramenti fondamentali per dare alle persone i mezzi materiali necessari per poter decidere della loro vita in autonomia. L’obiettivo di uno sviluppo pieno, però, è dare la possibilità agli essere umani di essere appunto umani. Ecco perché i diritti umani sono un obiettivo universale che riguarda tutti quelli che appartengono alla nostra specie. Negare i diritti umani a un’altra persona equivale a negarli a noi stessi. […] Sviluppo umano significa anche autonomia delle persone di decidere, da sole e collettivamente, come proteggere questi diritti, il diritto di decidere. Se questo diritto di decidere è sequestrato da istituzioni politiche non rappresentative e organizzazioni economiche al servizio di pochi, l’appello ai diritti umani diventa una formula vuota.
Quando questo avviene, le persone tendono a fare riferimento a un
principio etico e morale che va
oltre quanto è scritto nelle norme e imposto dalle istituzioni. Questo principio è la dignità dell’essere
umano. Diritti che non ci sono concessi, ma che sono nostri. Che devono
essere rispettati al di sopra delle convenienze politiche o delle razionalità
economiche. »Leggendo queste parole si intuisce subito come, di fatto, Roccella sia una piccola finestra sul mondo: le dinamiche locali non differiscono poi così tanto da quelle che hanno investito Kiev, gli indignados spagnoli, le rivoluzioni arabe o il Cile. Dobbiamo essere in grado di non guardare al singolo episodio, rischiando di trasformarlo in un feticcio, bensì di inquadrarlo in un contesto molto più ampio e generale attraversato da un filo comune. Emblematico in tal senso è ciò che accadde lo scorso giugno a Sào Paulo quando i politici rimproverarono i giovani brasiliani per il polverone sollevato per pochi centesimi di aumento dei mezzi di trasporto pubblici e si sentirono rispondere: ”Non si tratta di centesimi, ma dei nostri diritti, della nostra dignità”.
Sarebbe bastato capire queste semplici parole per evitare ai debitori Sisinio Zito e Vincenzo Staiano l’ennesimo teatrino tragicomico che ha visto come unici spettatori i lavoratori del Festival Jazz che da anni attendono le loro regolari spettanze. Non è più (o solo) un problema economico, è un problema di dignità umana. Ciò che infastidisce non è il sapere che ci possano essere dei problemi nei pagamenti (solo chi non organizza eventi può pensare che sia tutto rosa e fiori), il punto centrale è che i lavoratori sono stufi di essere presi in giro ogni 6 mesi e di ascoltare promesse che vengono puntualmente disattese. Dall’alto della propria saccenza, Zito e Staiano continuano ad offendere, con questi ripetuti rinvii incorniciati da parole vuote, non tanto il lavoro di questi ragazzi quanto la loro dignità umana di persone e cittadini. Ragazzi che da anni aspettano risposte concrete si vedono continuamente presi in giro da chi, grazie ad uso continuo di retorica, riesce a dire qualcosa non dicendo assolutamente nulla.










