Omelia del vescovo di Locri-Gerace ai funerali di Mary Cirillo, uccisa dal marito
(Monasterace, 24 agosto 2014)
Avrei desiderato far visita a questa comunità in... un momento diverso. Ma non ho potuto fare a meno di esserlo in questa circostanza di sofferenza.
Sofferenza non solo per una famiglia, ma per l’intera comunità di Monasterace e di quanti (persone, associazioni e movimenti) si sentono colpiti dal gesto compiuto da mano omicida. Siamo qui non solo per esprimere con le lacrime i nostri sentimenti, ma anche per cogliere il senso di un evento, che, nella sua gravità e tragicità, c’interroga. Interroga la comunità civile, ma interroga non meno la comunità religiosa.
Parlo volutamente di comunità, intendendo rimarcare il fatto che come uomini e donne siamo chiamati a realizzare la dimensione sociale del nostro essere in “comunità di vita e di amore”, in una famiglia, ove l’io trova la sua completezza nel noi. Nessuno può ritenere di essere completo in se stesso e di non avere bisogno dell’altro.
Parimenti nessuno può dire che quanto accade attorno a sè non lo interessa. No, quanto accaduto c’interessa personalmente. Non solo per quel senso di umanità che ci unisce, ma soprattutto perchè nessuno di noi è un’isola: siamo responsabili gli uni degli altri. Soprattutto in questo nostro tempo, in cui va diffondendosi una pericolosa tendenza verso la chiusura in un gretto individualismo.
(Monasterace, 24 agosto 2014)
Avrei desiderato far visita a questa comunità in... un momento diverso. Ma non ho potuto fare a meno di esserlo in questa circostanza di sofferenza.
Sofferenza non solo per una famiglia, ma per l’intera comunità di Monasterace e di quanti (persone, associazioni e movimenti) si sentono colpiti dal gesto compiuto da mano omicida. Siamo qui non solo per esprimere con le lacrime i nostri sentimenti, ma anche per cogliere il senso di un evento, che, nella sua gravità e tragicità, c’interroga. Interroga la comunità civile, ma interroga non meno la comunità religiosa.
Parlo volutamente di comunità, intendendo rimarcare il fatto che come uomini e donne siamo chiamati a realizzare la dimensione sociale del nostro essere in “comunità di vita e di amore”, in una famiglia, ove l’io trova la sua completezza nel noi. Nessuno può ritenere di essere completo in se stesso e di non avere bisogno dell’altro.
Parimenti nessuno può dire che quanto accade attorno a sè non lo interessa. No, quanto accaduto c’interessa personalmente. Non solo per quel senso di umanità che ci unisce, ma soprattutto perchè nessuno di noi è un’isola: siamo responsabili gli uni degli altri. Soprattutto in questo nostro tempo, in cui va diffondendosi una pericolosa tendenza verso la chiusura in un gretto individualismo.