Grazie all'amico Rosario che mi ha fatto pervenire l'articolo per via telematica, offro a chi non l'ha letto sulla Riviera l'articolo integrale che mette in luce la situazione ingarbugliata in cui si trova il nostro Maniero. Guardacaso per tutte le grandi opere di Roccella di questi ultimi anni (vedi Porto delle Grazie, Bretella alla 106) sono più protagonisti i tribunali che i costruttori e i carpentieri. Chissà se alla base di tutto questo c'è un motivo e una ragione di fondo...
Roccella Jonica: Lo scempio del castello.
Il maniero dei Carafa ucciso dai serial-killer del restauro. Aggressioni di cemento dopo l'alluvione, ripresa dei lavori nel 2008 e ripetute interruzioni. Tutti in tribunale!
Ero affascinata dal promontorio che ospitava il castello dei Carafa. Quel maestoso avvicendarsi di rocce si stagliava contro il cielo, imponente e ripido sulla costa pianeggiante, quasi fosse una sfida alle leggi fisiche. E lassù, sorvegliato da una torre ancora più alta, la meraviglia normanna di pietra e malta.
Feci una cosa proibita: salii in cima, arrivando alla porta di legno che chiudeva le mura, e scavalcai, ritrovandomi sola nel castello silenzioso. Sul portale litico era ancora visibile lo stemma in pietra calcarea della famiglia Carafa della Spina, da cui il castello fu rimaneggiato e restaurato. Camminai per la stradina che portava al cortile, in esso si affacciava la piccola cappella in cui furono rinvenuti i pregevoli altari in marmo policromo. Il complesso era in buono stato nonostante centinaia di anni di storia (e storie) l’avessero segnato. Non un rudere, ma piani e balconi e stanze e incisioni. Un vero tesoro per le nostre terre. Chiusi gli occhi e dall'alto mi sembrò di dominare il mare, di cui arrivava chiaro il lamento. Scale di pietra, strette tra le mura, portavano ai piani superiori che furono gli appartamenti privati dei principi. Il castello era straordinario, tanto da far perdere il senso del tempo. Non so, infatti, quante ore stetti là dentro, ricordo solo che odorava di vita, di racconti antichi, di onore, vizi e peccato. Ma ciò che non uccisero gli anni fu ucciso dal calcestruzzo armato. Non le intemperie, né le battaglie, bensì un “restauro” approssimato e violento. Fu lì che il secolare maniero trovò la morte, giunta impietosa, senza dignità né allori. Una morte di mattoni e cemento, usati per sigillare le finestre e per riempire le straordinarie rughe dell’antica muratura. E, alla fine, arrivarono due bei fari, puntati di notte, affinché in nessun momento si scordasse lo scempio di Roccella.
Nel 2008 il castello fu definito un “bene patrimoniale storico artistico di livello internazionale” e ripresero i lavori di restauro (finanziati da fondi europei e regionali), che stando alle previsioni sarebbero durati al massimo un anno e due mesi. Anche questa volta, purtroppo, si operò in maniera confusa e arbitraria. Troppe sospensioni e problematiche di cantiere ostacolarono gli interventi, contrattempi che un’attenta direzione dei lavori, ed un previdente Responsabile unico del procedimento, avrebbero di certo evitato con un progetto esecutivo definito nei dettagli, e non “totalmente stravolto” in corso d’opera. Sin da subito il consorzio Aedars Scarl (soggetto appaltatore) e la esecutrice consorziata segnalarono le incongruenze tecniche e operative rispetto a quanto preventivato in lavorazione, ma gli organi della procedura d’appalto, Rup e Dl, e il Comune di Roccella Jonica costrinsero l’appaltatore e la esecutrice consorziata ad un contenzioso presso il tribunale di Locri con tutte le evenienze del caso. Un modo per far lavorare giudici e avvocati… e sospendere i lavori al maniero normanno!
Straordinario, dunque, il tempestivo dietro-front delle istituzioni, teso a scoraggiare domande del tipo “quando finiranno i lavori iniziati nel 2008?”. Quesito banale, ormai, scontato e già vecchio. Così quello che ci chiediamo oggi è solo: “ma quando (e soprattutto come) riprenderanno!”. E il punto esclamativo, credeteci, non è casuale.
Antonella Italiano