Violenza di Stato a più livelli, nessuno è esente da responsabilità e colpe, vent’anni passati invano
di Carlo Maria Muscolo
Quello che è successo nell’istituto campano – dove 52 persone, tra agenti e figure istituzionali, sono state raggiunge da misure cautelari – mostra come questo principio possa essere diffuso, tollerato e difeso a ogni livello dall’amministrazione penitenziaria, fino ad arrivare al Ministero della giustizia.
La magistratura l’ha definito “uno dei più drammatici episodi di violenza di massa ai danni dei detenuti”. È la tragica descrizione di quanto avvenuto nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), che viene fuori da mesi e mesi di analisi delle chat degli agenti penitenziari, audio, videocamere di sorveglianza e referti vari.
Gli agenti avrebbero commesso abusi indiscriminati nei confronti dei detenuti, in una sorta di vendetta dopo una rivolta scoppiata la sera prima e rientrata in poche ore per la scoperta di un detenuto positivo al Covid-19.
Sono passati venti anni esatti da quando l’Italia fu teatro di quella che Amnesty International definì “la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Nel luglio 2001 a Genova, nei giorni del G8, si apriva una ferita che oggi ancora non si è rimarginata, con la macelleria messicana della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, la morte di Carlo Giuliani e la violenza indiscriminata delle forze dell’ordine nelle strade contro i manifestanti. Fu tortura su larga scala, come d’altronde ribadito di recente dalla Corte europea dei diritti umani, ma in Italia non esisteva nemmeno una legge che prevedesse questo reato, arrivata solo nel 2017.
Gli abusi di potere commessi nel corso del G8 di Genova sono stati perlopiù coperti e oggi l’Italia continua a pagare il fatto di non aver saputo fare realmente i conti con quella tragedia di venti anni fa, di non aver fatto un passo oltre a quella vergogna. E il metodo Genova, con episodi di violenze indiscriminate delle forze dell’ordine, di insabbiamenti e omertà diffusa, di tortura a la Bolzaneto e Diaz, continua oggi a macchiare la quotidianità del Belpaese, in particolare delle sue carceri.
Quanto emerso in queste ore nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere è infatti solo la punta dell’iceberg: da quando l’Italia si è dotata di una legge sulla tortura, si è scoperto che la tortura nel paese esiste, eccome se esiste.
L'associazione Antigone ha raccolto tutti i casi di applicazione di questo “nuovo reato” nell’ambito del sistema carcerario italiano. C’è l’agente di polizia penitenziaria condannato lo scorso gennaio per tortura contro un detenuto nel carcere di Ferrara. C’è la condanna in primo grado per tortura e lesioni aggravate a carico di dieci agenti del carcere di San Gimignano, arrivata lo scorso febbraio. Ci sono le misure cautelari, tra cui i domiciliari, disposte a gennaio per diversi agenti accusati di tortura contro i detenuti nel carcere fiorentino di Sollicciano.
Ci sono altre misure cautelari emesse nel 2019 nei confronti di 13 agenti del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, per un’inchiesta su presunte torture e altri abusi commessi nei confronti dei condannati. E poi altre indagine in stato ancora più embrionale, dall’istituto milanese di Opera a quello emiliano di Modena, passando per Melfi, Pavia e altre carceri.
C’è un problema di abusi di potere e violenze nelle carceri italiane che è figlio dell’impunità seguita ai tragici fatti del G8 di Genova di venti anni fa. Per tutto questo tempo si è continuato a chiudere gli occhi, si è dovuto aspettare ben 16 anni per una legge sulla tortura zoppa e che sta iniziando solo ora a fare il suo corso, ci si è continuati ad opporre a misure di buon senso come quella dei codici identificativi sulle divise e sui caschi degli agenti per meglio individuare eventuali abusi.
Intanto, una fetta importante della politica ha spianato la strada a tutto questo, permettendo di fatto che il metodo-Genova oggi continui il suo corso. Dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha definito quella sulla tortura una legge che impedisce alle forze dell’ordine di fare il loro lavoro, al capo della Lega Matteo Salvini che ogni volta che scoppia un’inchiesta per tortura nelle carceri corre a dare la sua solidarietà agli agenti indagati.
L’Italia è ancora impantanata nell’orrore di venti anni fa e il contesto politico-sociale non sembra preannunciare miglioramenti imminenti.
Il 6 aprile a Santa Maria Capua Vetere la situazione sembrava più tranquilla. Ma l’agente di polizia penitenziaria è entrato con un’intenzione precisa: “Li abbattiamo come vitelli”, ha detto a un collega. Le chat telefoniche trascritte negli atti dell’inchiesta sono piene di frasi del genere: “Domate il bestiame”, “quattro ore di inferno per loro”, “abbiamo fatto tabula rasa”.
Dai video delle telecamere di sicurezza che gli agenti non hanno saputo o voluto staccare, e che la procura ha visto, emerge “chiaramente un uso massiccio e indiscriminato, del tutto ingiustificato, di ogni sorta di violenza fisica e morale ai danni dei detenuti”. Secondo il giudice per le indagini preliminari (Gip) i pestaggi “sono stati accuratamente pianificati e svolti con modalità tali da impedire ai detenuti di riconoscere i propri aggressori”.
Al secondo livello ci sono quei funzionari che avrebbero cercato di coprire le violenze con prove false e relazioni scritte per dimostrare che il 6 aprile la reazione delle forze dell’ordine era stata provocata dai detenuti. Tra i 117 indagati ci sono anche due comandanti della penitenziaria e il provveditore delle carceri della Campania.
Al terzo livello ci sono il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e il ministero della giustizia. All’epoca dei fatti il ministro è Alfonso Bonafede del Movimento 5 stelle. Il deputato radicale Riccardo Magi gli chiede di riferire in parlamento sulle denunce di violenze nel carcere campano raccolte dal Garante nazionale dei detenuti e dall’associazione Antigone, e su cui ha cominciato a indagare la procura di Santa Maria Capua Vetere.
In aula va il sottosegretario alla giustizia Vittorio Ferraresi, che definisce l’azione della polizia penitenziaria una “doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità dell’intero reparto”. Di Bonafede si ricorda solo il silenzio. È possibile che nessuno del Dap gli abbia detto cosa fosse successo? Il garante Mauro: “È stata decisa la sospensione degli agenti coinvolti. Che però sono indagati da oltre un anno. Il Dap non poteva intervenire prima?”.
Il Dap non è intervenuto per Santa Maria Capua Vetere, così come non è intervenuto in decine di altri casi. Dopo le rivolte del 2020 i detenuti di molte carceri in Italia hanno denunciato ritorsioni da parte degli agenti, ma le loro parole sono cadute nel silenzio, compreso quello dei governi che si sono alternati.
Vent’anni fa una ferocia simile si consumò sui corpi di chi protestava contro il G8 a Genova. Molti manifestanti furono rinchiusi, umiliati e torturati nella caserma di Bolzaneto. Di quelle violenze non ci sono immagini, ma non ce n’è bisogno per capire che le carceri funzionano tutte nello stesso modo.
E vent’anni sono passati invano...
Articolo pubblicato su "la Riviera" di Domenica 11 Luglio 2020