di Vito Pirruccio
L’anno da poco iniziato ci ha visti, come Calabria, protagonisti su RAIUNO nella trasmissione “L’anno
che verrà” di Amadeus. L’obiettivo della trasmissione, ad ascoltare i politici nostrani, è quello di
proiettare la nostra regione sui circuiti turistici nazionali e internazionali.
Il Governatore Occhiuto,
rispondendo alle critiche provenienti, pure, dal “cittadino comune”, ha rassicurato in questi termini:
“Investiamo risorse che l’Europa e il Governo nazionale danno a tutte le Regioni per promuovere
l’immagine dei territori. Sono risorse che si possono spendere solo per questo obiettivo, perché
altrimenti vanno perdute e restituite.
Questi fondi non possiamo spenderli, ad esempio, per gli
ospedali o per le strade: per queste cose, molto più importanti, ci sono altre risorse. Queste sono
destinate alla promozione turistica e ho voluto fare in modo che la nostra immagine, quella della
Calabria, si potesse promuovere nel resto d’Italia con eventi fruibili dai calabresi”.
Convinti della
buona riuscita dell’iniziativa crotonese, la prossima tappa “L’anno che verrà 2024-2025” sarà sul
Lungomare di Reggio Calabria.
Seguendo il ragionamento del Presidente Occhiuto dobbiamo, però, dedurre che mentre siamo
bravi, super efficienti e tempestivi nell’utilizzare “risorse che l’Europa e il Governo nazionale danno
a tutte le Regioni per promuovere l’immagine dei territori”, non siamo altrettanto bravi, super
efficienti e tempestivi nell’utilizzare i fondi europei per ospedali, strade, depurazione delle acque e
reti idriche, edifici scolastici, ed emergenze varie con le quali il “cittadino comune” si misura
quotidianamente e certo non elevano l’immagine e la promozione della Calabria in Italia e in Europa.
Forse il “cittadino comune” ha un metro di riferimento e di competenza diverso dalla classe dirigente
che lo governa?
Non deve cambiare metro il cittadino, deve misurarsi con la nuda realtà la politica
e non immaginarsi di vivere buttando fumo negli occhi con spot milionari (Nel recente passato lo
spot di Gabriele Muccino “Terra Mia”, costato 1.700.000,00 euro per promuovere l’immagine della
Calabria e a beneficio di un turismo azzoppato dal Covid, non mi pare abbia penetrato il mercato
turistico come auspicato!). Milioni di euro i cui benefici noi “cittadini comuni”, per lo meno, o non
vediamo o siamo incapaci di percepirne la portata di medio-lungo termine.
Nel mentre si spegnevano le luci de “L’anno che verrà”, mi sono preso la briga da “cittadino comune”
di riflettere su questioni “terra, terra” che lacerano quotidianamente la nostra regione e ho cercato,
altrettanto “terra, terra”, di capire se non fosse più sensato percorrere altre strade per vivere noi
meglio in Calabria e attrarre, partendo dall’avere più cura del nostro territorio, quel famoso turista
salvatore dell’economia calabrese periodicamente lanciato sull’immaginario collettivo con la solita
speranzosa massima dell’ Araba Fenice: “Post fata resurgo!” - “Dopo la morte torno ad alzarmi! “-
Ma, così come vanno le cose, a rialzarsi probabilmente sarà solo il prezzo, economico e sociale, dei
nostri guai.
Nel mentre si alzano i diapason della musica con concerti tipo quello crotonese o ci illuminiamo di
immenso con scorci mozzafiato isolati abilmente dal contesto, le strade della Calabria sono gruviera,
la nostra galleria della Limina sta per chiudere e per arrivare sull’altro versante ci dovremo
arrampicare su una mulattiera di montagna, i treni sono veloci sul versante tirrenico a scatolette su
quello jonico, i voli aerei si riducono, le acque marine annualmente mostrano i segni degli inquinanti
“umani” nonostante l’assenza di industrie, in alcune aree l’acqua potabile arriva col contagocce, i
cumuli di spazzatura fanno bella mostra al potenziale turista nelle piazzuole, agli incroci e in ogni
dove, ecc… Sulla sanità, poi, notizie non pervenute nonostante si segnalano come unici arrivi
dall’estero i medici d’Oltreoceano.
E con questo contesto di riferimento dovremmo confidare in “Terra mia” o ne “L’anno che verrà”?
Campa cavallo …!
Ma la malinconica rassegnazione che inevitabilmente mi prende misurando la distanza concettuale
tra noi “cittadini comuni” e la politica dai voli mirabolanti, trova una svolta se mi soffermo su quel
tanto di buono che il passato ci ha dato in consegna.
Durante queste festività natalizie sono andato ad ammirare quello stupendo scrigno di cultura che
è diventato il Parco Archeologico di Locri. E mi sono soffermato su un piccolo esemplare in oro che
fa bella mostra di sé nel “Casino Macrì”, struttura restituita dopo i vari interventi alla collettività
nella sua straordinaria bellezza: mi riferisco alla BRÀTTEA, la lamina d’oro, ritrovata a Siderno nel
1886 in un terreno agricolo di proprietà della famiglia De Mojà.
Nell’area di ritrovamento in c.da
Randazzo gli studiosi certificano l’esistenza di una chiesetta di Santa Maria di Schiriminghi e datano
il famoso esemplare ritrovato tra il VI e il VII secolo dopo Cristo.
La Bràttea di Siderno che si trova nel Museo di Locri, come hanno acutamente osservato vari
studiosi, è la più antica raffigurazione dell’Adorazione dei Magi e i tre reali raffigurati sono sovrastati
da una stella cometa e nella parte bassa della lamina d’oro (La Bràttea misura 5 cm di diametro) c’è
il Bambino Gesù in grembo alla Madonna. Quindi, in basso alla Bràttea troviamo associato il Presepe.
Non ci sono dubbi che questa raffigurazione del Presepe come descritta nel Vangelo di Matteo è
presente dal VI-VII sec. d.C. nell’iconografia portata in Calabria dai monaci d’oriente giunti nel Sud
della Penisola dopo l’invasione araba della Palestina e della Siria e da Costantinopoli a seguito della
furia iconoclasta.
Il ritrovamento della Bràttea è del 1886 e, nonostante sia stata studiata e ampiamente conosciuta
tra gli studiosi, se ne parla poco sui circuiti comunicativi; si fa poco per valorizzarne la portata storica
(La rappresentazione dei Magi e del Presepe della Bràttea anticipa di 5 secoli la raffigurazione,
certamente diversa, che ne farà San Francesco a Greccio nel 1223 col famoso Presepe vivente) e
passa inosservata tra il grande pubblico.
Invece, sarebbe una delle tante occasioni per vantare
“primati” che la nostra terra nasconde spesso per incapacità e pigrizia. Fatta salva naturalmente la
professionalità di quanti si spendono quotidianamente nello studio e nella conservazione di questi
scrigni di civiltà.