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Roccella in vetrina

venerdì 29 agosto 2014

UNA BELLISSIMA STORIA DI BUONA SANITA'

 
Cronaca si una storia vissuta: l'uomo del "letto uno" ringrazia...
Abbiamo letto, qualche giorno fa fra le righe della riviera online e sul quotidiano Catanzaro informa, una bellissima testimonianza del nostro concittadino prof. Aldo Scimone in merito alla sua esperienza negli Ospedali di Locri prima e Catanzaro dopo a seguito di un preoccupante principio d'infarto.
 
Una storia che merita di essere ancora proposta affinché venga maggiormente diffusa la fiducia che medici e reparti ospedalieri di eccellenza sono presenti anche in Calabria con una professionalità che non ha nulla da invidiare a nessun altro ospedale d'Italia.
 
Una storia davvero toccante che siamo sicuri emozionerà anche i lettori di questo blog


  
Ci risiamo. Siamo qui ancora una volta a parlare di sanità. E già tutti a pensare:  la solita storia di malasanità, medici sotto accusa, infermieri superficiali e poco professionali e pazienti “spazientiti”, (è un eufemismo), che attendono, attendono, attendono.
   E invece no. La storia che sto per raccontare è di un altro colore. Voglio ribadire che oltre le storture, i torti, le disgrazie che possono capitare, e capitano, in special modo in questa terra di Calabria, può succedere di trovare delle perle, dei valori che vanno messi in risalto e fungere da volano, come diaspora, per altri eventi.
   Parlo di due strutture calabresi, si calabresi, per una delle quali si è detto di tutto, nel bene e nel male.         
L’UTIC dell’Ospedale di Locri, e l’UTIC dell’Azienda Ospedaliera di Germaneto-Catanzaro.
Ma cominciamo dall’inizio. Mi sono ritrovato, e non per mia volontà, credetemi, coricato su un lettino dell’unità cardiologica Utic di Locri ed il personale presente al momento – grazie dott.ssa Minniti – con un intuito ed una prontezza degni del migliore freddo e cinico computer, è un complimento,  dopo avermi visitato, prende la decisione giusta tra le più giuste, ed io mi ritrovo a volare, nel senso vero della parola, verso l’Ospedale di Germaneto, reparto UTIC.
E qui comincia l’avventura. Frastornato, un tantino preoccupato (chissà perchè  poi), mi trovo a subire la mia prima, e spero ultima, coronarografia con successivo intervento angioplastico. Intanto sono trasferito nel reparto terapia intensiva dell’Utic. Si tratta di un salone rettangolare dove ci sono 8 letti ultramoderni, ma che secondo le esigenze del momento diventano 10 oppure 12 o ancora 14 posti letto, separati tra loro da una parete divisoria amovibile, necessaria per la dovuta privacy.  Non sono anestetizzato, quindi con la mia lucidità, posso osservare tutto quel che mi sta attorno, anche perchè il mio letto, Letto1, si trova all’inizio della stanza, lato corto, perpendicolare agli altri, in una posizione dalla quale posso osservare tutta la stanza: alla mia destra i lettini degli ammalati, alla mia sinistra, in posizione centrale, la postazione dell’equipe medico infermieristica.
La prima cosa che mi colpisce è la mancanza del tempo, nel senso che pare che il tempo si sia fermato.
 
  Attaccato a quella macchina, monitorato anche nei piccoli movimenti, mi rendo conto che sono privo di tutto: indumenti, catenina, orologio, cellulare. E su quest’ultimo oggetto mi do una spiegazione,  tutta mia ovviamente,  del perchè questo evento colpisce principalmente le persone anziane: ve li immaginate un ragazzino o una giovinetta senza il proprio telefonino o smartphone o I-pad e cosi via per 7/8 giorni...
   E io li, in quel lettino a fissare una plafoniera illuminata, senza riuscire a capire se fossero le quattro del mattino o le cinque del pomeriggio... Per potermi raccapezzare un poco, contavo l’intervallo che l’apparecchio pressorio scandiva; e siccome si metteva in funzione ogni sessanta minuti, il calcolo era fin troppo semplice. Ecco ora è in misurazione, chiamo l’infermiera di turno che mi dice l’ora; ecco ora sono le due, alla prossima misura saranno le tre, poi le quattro e cosi via.... ma dopo dieci minuti mi assopisco e non sento la misurazione successiva e ricomincio daccapo, richiamando l’infermiera.
    Già l’infermiere/a. E’ quella formica che non sono mai riuscito a vedere seduta e non perchè non ci fossero sedie, ma perchè aveva sempre qualcosa da fare: lettino, armadio medicinali, altro lettino, dottori, monitor, altro lettino, aggiusta collegamenti staccati, prepara un nuovo letto per l’ammalato che ti sta arrivando, il tutto senza dire una parola che non fosse necessaria. E i medici: ....sempre li a scrivere, programmare, indicare una terapia. Ed io, intorpidito da quella lampada solare mi chiedevo se eravamo in Italia, in Calabria, in quella Calabria che tutti conosciamo.
    Fanno semplicemente il loro dovere, potrebbe pensare qualcuno; quello è il lavoro per cui son pagati, direbbe qualcun altro.
   Tutto vero, verissimo. Ma c’era qualcosa che traspariva dal loro atteggiamento, quel qualcosa che mi ha spinto a scrivere questa lettera, e sono fiero di farlo, chiedendo scusa a Voi che la leggete se vi ho annoiati, una lettera che esce dal cuore – siamo o no in cardiologia? –
   Quel qualcosa in più era l’amore.
    L’amore che mettevano in ogni loro azione, quando ti davano una compressa o quando ti prelevavano il sangue, o ti facevano le pulizie, o quando venivano a darti notizie sull’evoluzione del tuo stato o quando ti prendevano una mano e in quel calore tu ti rasserenavi, va bene che c’erano i guanti, ma quel calore umano ti penetrava lo stesso.
   Lo so che la situazione era particolare e tale da amplificare qualsiasi sentimento o emozione e per uno come me che in quanto ad emotività se non è primo è secondo, potevano essere ingigantiti.
   Ma vi posso garantire che so vedere e osservare, discernere e valutare.
   Uomini e donne come quelli, potrebbero essere il seme per un futuro migliore, e se questo scritto può fungere da concime sarò contento.
   Al prof  Ciro Andolfi, primario della struttura, i miei complimenti  glieli ho già fatti personalmente; così come a tutto lo staff medico, infermieristico e OSS presente in quel momento; e la professionalità, la competenza, l’umanità e l’amorevolezza che continuano a profondere verso quelle persone affidate alle loro mani, rimarranno per sempre dentro di me.
Grazie a tutti, di cuore, il vostro per una settimana, letto UNO.

                                                                             Aldo prof. Scimone

 

2 commenti:

  1. Lettera toccante e, per quanto mi riguarda, condivisibile. Anch'io sono stato per qualche tempo "in villeggiatura" nella struttura ospedaliera di Germaneto, reparto Urologia guidata dal Prof. Rocco Damiano, per un intervento di prostatectomia radicale nel lontano 2007. Conservo un ricordo più che positivo per l'accoglienza, la professionalità, il trattamento e il calore umano profuso da tutto il personale medico e paramedico nei miei confronti e nei confronti di tanti altri pazienti. Giuseppe Guarneri

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  2. Al prof. Scimone vanno i piu' sentiti auguri. Ad ogni modo credo sia piu' che giusto criticare con i piedi messi ben ancorati per terra senza farsi trasportare dall'enfasi emozionale del caso specifico. La struttura di Locri nella fattispecie ha piu' pazienti sulla coscienza che casi FORTUNATI come questi. I migliori professionisti in quella struttura non sono mai durati tanto perché non sono messi nella migliore delle condizioni per poter svolgere la loro mansione. E quindi? Quindi rimangono i piu' scarsi, quelli che nella società moderna in cui ai giovani vengono chiesti Master a gogò non sarebbero degni di praticare nemmeno una puntura e si credono chissà chi. Non dimentichiamo che dopo decenni di scandali e sprechi la struttura è commissariata, ed ancora oggi vorrei vedere e capire quali aziende hanno gli appalti dentro l'ospedale. Nsomma, felice per il caso specifico ma non ci sto a rimettermi l'anello intorno al naso. Non posso giudicare la struttura di Germaneto perché non la conosco.

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