Il saluto del piccolo Martin, figlio di Antonio Fortunato. Un gesto che ha commosso tanti tra i presenti nella basilica di san Paolo per i funerali delle sei vittime dell'attentato di Kabul. Poi il bimbo è tornato di corsa tra le braccia della mamma.
Si chiama Martin, ha sette anni, ed è il figlio del capitano Antonio Fortunato, morto nell’attentato di venerdì a Kabul.
Ha dato una carezza prima alla foto del papà e poi alla bandiera italiana, uno sguardo al basco amaranto appoggiato sul cuscino rosso e poi di nuovo di corsa tra le braccia della mamma. E' una delle scene più commoventi dei funerali solenni nalla basilica di San Paolo a Roma. E lo ha fatto passando davanti alle più alte cariche dello stato, non appena la bare sono entrate nella basilica, prima ancora che cominciassero le esequie.
Il piccolo Martin è poi rimasto, basco rosso dei parà in testa e fazzoletto di carta in mano, accanto a Gianfranco Paglia, un militare rimasto ferito in Somalia, mentre leggeva la ‘preghiera del parà’. Poi è risuonato ‘il silenzio’: tutti in piedi sull’attenti, anche il bambino.
Ha dato una carezza prima alla foto del papà e poi alla bandiera italiana, uno sguardo al basco amaranto appoggiato sul cuscino rosso e poi di nuovo di corsa tra le braccia della mamma. E' una delle scene più commoventi dei funerali solenni nalla basilica di San Paolo a Roma. E lo ha fatto passando davanti alle più alte cariche dello stato, non appena la bare sono entrate nella basilica, prima ancora che cominciassero le esequie.
Il piccolo Martin è poi rimasto, basco rosso dei parà in testa e fazzoletto di carta in mano, accanto a Gianfranco Paglia, un militare rimasto ferito in Somalia, mentre leggeva la ‘preghiera del parà’. Poi è risuonato ‘il silenzio’: tutti in piedi sull’attenti, anche il bambino.
Un basco troppo grande, come il dolore e le responsabilità che lo accompagneranno per il resto della vita; una carezza che avrebbe meritato un volto e che invece ha trovato una bandiera sopra una bara; un pianto limpido, come solo quello dei bambini sa essere: se ieri a commuovere l'Italia era stato il piccolo Simone, figlio del sergente maggiore Roberto Valente, ieri è toccato a Martin, sette anni, ricordare a tutti la crudeltà della guerra. Martin è il figlio del capitano Antonio Fortunato, dilaniato, come il papà di Simone, dall'autobomba che giovedì a Kabul ha ucciso sei militari italiani: nella basilica di San Paolo a Roma dove si sono celebrati i funerali solenni dei parà, gli occhi di tutti si sono velati di fronte ai suoi gesti di bambino, semplici e veri.
Martin è arrivato in chiesa prima che entrasse il feretro di Antonio Fortunato, portato a spalla dai colleghi della Folgore; lo hanno fatto sedere alla sinistra dell'altare, in prima fila, accanto alla mamma che non ha mai mollato la mano se non per sistemargli la frangetta. Lo sguardo assorto, le gambe ciondolanti dalla sedia troppo alta, Martin sembrava essere spaesato, lui così piccolo in un posto così grande, con quella musica che sembrava non finire mai e quell'odore d'incenso a dar fastidio al naso. Ma non lo era per niente, spaesato. Aspettava solo il suo momento.
Così, quando è arrivato, si è alzato dalla sua sedia ed è andato dal papà, solo con le sue paure e il suo dolore, incurante dei volti commossi di tutte le autorità dello Stato che seguivano i suoi movimenti e dei milioni di italiani che lo hanno visto in tv. Davanti alla bara, Martin è rimasto meno di un minuto: il tempo di accarezzare la bandiera, lanciare un ultimo sguardo alla foto del papà Antonio appoggiata sulla bara e sussurrare piangendo l'ultimo "ciao, papà", prima di correre di nuovo tra le braccia della mamma. Sotto lo sguardo pieno di lacrime del padre e della madre di Giandomenico Pistonami, lui con la giacca della divisa del figlio, lei con in mano la foto del caporalmaggiore.
Ma era troppo anche per Martin restare oltre un'ora immobile davanti a quelle sei bare. Così, accompagnato da un sottufficiale dei parà, è uscito dalla basilica per prendere un pò d'aria, mangiare un biscotto e riflettere sulle parole rivolte al papà Antonio dal'ordinario militare Vincenzo Pelvi nell'omelia: "Hai scelto di vivere per una passione per l'altro uomo, chiunque sia e dovunque si trovi, per il suo valore infinito: ecco la tua vocazione che lasci come fiaccola al tuo piccolo Martin".
Una fiaccola che il bimbo ha raccolto quando il capitano Paglia - deputato-paracadutista costretto su una sedia a rotelle da un colpo ricevuto alla schiena durante la battaglia al check point "Pasta", in Somalia - ha cominciato a leggere la preghiera del paracadutista: "La nostra giovane vita é tua o Signore! Se è scritto che cadiamo, sia! Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire".
Martin ha ascoltato, attento, lì accanto. Poi, come se fosse la cosa più normale per un bambino di sette anni, si è messo sull'attenti e ha alzato la manina per fare il saluto militare. Gesto che ha ripetuto a Uopini, a due passi da Siena, mentre seppellivano suo papà. Con quel basco troppo grande sempre in testa, ma stavolta con accanto i compagni di scuola e gli amichetti della squadra di calcio dove fa il portiere.
Martin è arrivato in chiesa prima che entrasse il feretro di Antonio Fortunato, portato a spalla dai colleghi della Folgore; lo hanno fatto sedere alla sinistra dell'altare, in prima fila, accanto alla mamma che non ha mai mollato la mano se non per sistemargli la frangetta. Lo sguardo assorto, le gambe ciondolanti dalla sedia troppo alta, Martin sembrava essere spaesato, lui così piccolo in un posto così grande, con quella musica che sembrava non finire mai e quell'odore d'incenso a dar fastidio al naso. Ma non lo era per niente, spaesato. Aspettava solo il suo momento.
Così, quando è arrivato, si è alzato dalla sua sedia ed è andato dal papà, solo con le sue paure e il suo dolore, incurante dei volti commossi di tutte le autorità dello Stato che seguivano i suoi movimenti e dei milioni di italiani che lo hanno visto in tv. Davanti alla bara, Martin è rimasto meno di un minuto: il tempo di accarezzare la bandiera, lanciare un ultimo sguardo alla foto del papà Antonio appoggiata sulla bara e sussurrare piangendo l'ultimo "ciao, papà", prima di correre di nuovo tra le braccia della mamma. Sotto lo sguardo pieno di lacrime del padre e della madre di Giandomenico Pistonami, lui con la giacca della divisa del figlio, lei con in mano la foto del caporalmaggiore.
Ma era troppo anche per Martin restare oltre un'ora immobile davanti a quelle sei bare. Così, accompagnato da un sottufficiale dei parà, è uscito dalla basilica per prendere un pò d'aria, mangiare un biscotto e riflettere sulle parole rivolte al papà Antonio dal'ordinario militare Vincenzo Pelvi nell'omelia: "Hai scelto di vivere per una passione per l'altro uomo, chiunque sia e dovunque si trovi, per il suo valore infinito: ecco la tua vocazione che lasci come fiaccola al tuo piccolo Martin".
Una fiaccola che il bimbo ha raccolto quando il capitano Paglia - deputato-paracadutista costretto su una sedia a rotelle da un colpo ricevuto alla schiena durante la battaglia al check point "Pasta", in Somalia - ha cominciato a leggere la preghiera del paracadutista: "La nostra giovane vita é tua o Signore! Se è scritto che cadiamo, sia! Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire".
Martin ha ascoltato, attento, lì accanto. Poi, come se fosse la cosa più normale per un bambino di sette anni, si è messo sull'attenti e ha alzato la manina per fare il saluto militare. Gesto che ha ripetuto a Uopini, a due passi da Siena, mentre seppellivano suo papà. Con quel basco troppo grande sempre in testa, ma stavolta con accanto i compagni di scuola e gli amichetti della squadra di calcio dove fa il portiere.
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