Articolo di Luciana Cimino 21 settembre 2010 L'Unità
Un’altra Calabria è possibile. Proprio abbarbicato sulle alture della Locride, terra di n’drangheta e di conflitti sociali aspri dove lo stato spesso latita, c’è un paesino, Riace, che è un miracolo di civiltà e che ha fatto della convivenza con gli stranieri la cifra della sua identità.
Rosarno, che dista poche decine di chilometri, è lontana anni luce da qui. Lontane sono le sue guerre tra poveri pilotate dalla criminalità organizzata, lontanissimi sono i calabresi che hanno perduto l’anima e sparano ai migranti, trattati come miserabili e sfruttati come schiavi.
Riace (conosciuto per il ritrovamento dei Bronzi), 1800 abitanti, di cui 250 immigrati, non è solo accoglienza di rifugiati politici. In un territorio infiltrato dalle ‘ndrine, e le cui bellezze naturali sono deturpate dagli scempi dell’abusivismo edilizio, si è imposta all’attenzione dei media nazionali e internazionali (Wim Wenders ha girato tra i suoi vicoli un corto, “Il volo”) per la raccolta differenziata condotta con gli asini (per fare un paragone basti pensare che nel capoluogo calabrese, Catanzaro, la differenziata è un’utopia), per il borgo ripopolato con le botteghe artigiane, per la costituzione di un eco-villaggio, il “Riace- Village”, riproposizione di un villaggio rurale per l’ospitalità diffusa e per il turismo sostenibile, per il “Riace Film Festival”, la prima kermesse dedicata al cinema delle migrazioni.
Tutte idee partorite dal sindaco Domenico Lucano che per questo è stato nominato, unico italiano, tra i 23 finalisti del “World Mayor Prize”, premio per il miglior sindaco del mondo (la cui raccolta di voti si chiude in queste ore), assieme, per capirci, ai sindaci di metropoli come Città del Messico, Mumbai, ecc. Ma lui, Lucano, “Mimmo dei curdi”, come viene chiamato qui in paese, non si ispira a nessuno di questi, anzi, a parlare del premio si schermisce: «Mi mette un poco a disagio, io faccio solo il sindaco con l’impegno di un militante, non ho mai abbandonato le utopie di quand’ero studente».
Nessuna affiliazione ai partiti tradizionali: Lucano è stato eletto con la lista civica “Un’altra Riace è possibile” nel 2004, e poi riconfermato nel 2009. Il Pd dei notabili calabresi non lo ha appoggiato. Ma lui aveva dalla sua il consenso del paese. «Io sono di sinistra. Punto. Mi definisco del partito di Peppino Impastato, i valori a cui mi ispiro tutti i giorni nel fare l’amministratore sono l’uguaglianza sociale, la partecipazione e la trasparenza per togliere gli agganci negli appalti con la criminalità; chiamiamola, se volete, sinistra utopica».
In compenso le minacce delle famiglie degli “omini d’onore” non sono mancate. Due pallottole contro la Taverna delle Rose, ristorante recuperato da una casa abbandonata e dato in gestione a Città Futura, la sua associazione intitolata a Don Puglisi e infine l’avvelenamento dei suoi due cani. E il pensiero corre veloce ad un altro sindaco “speciale”: quell'Angelo Vassallo ucciso qualche settimana fa nel salernitano. «Certo le minacce, ma che significa che me ne devo andare? – dice lui sprezzante – che tutti ce ne dobbiamo andare? Io non ho paura, il mio messaggio è antitetico a quello della ‘ndragheta: da una parte loro, dall’altra noi. C’è una Calabria che vuole restituire dignità alla politica».
«Gli uomini d’onore, l’antistato, – continua Lucano – danno in qualche modo risposte più rapide alla crisi di occupazione del territorio e qui sta la mia scommessa, indicare uno sviluppo diverso dal turismo di massa e dai centri commerciali, uno sviluppo che si basa sull’identità dell’essere calabrese proprio in virtù dell’accoglienza dello straniero, valore antico che si tramanda da generazioni». Il paese, racconta ancora il primo cittadino, stava subendo la stessa sorte di tanti altri dell’Appennino calabrese, lo spopolamento per le migrazioni. «Ci sono più riacesi in provincia di Torino e in Sud America che qui».
E fu un giorno del luglio '98 che al sindaco, non ancora tale, venne l’idea. «Assistetti allo sbarco di 300 immigrati e capii improvvisamente che da problema potevano diventare la soluzione». Cominciò così a dare case a famiglie palestinesi, afghane, eritree, serbe, («tutti disperati in fuga da guerre e devastazioni, tanto abbiamo imparato noi riacesi da loro»), a insegnare loro i vecchi lavori artigianali della tradizione calabrese. Oggi addirittura il saldo nascite/decessi è positivo.
Grazie agli immigrati. E, sottolinea Lucano, «abbiamo riaperto la scuola elementare dove sono più i bambini stranieri che quelli italiani». Insomma quel che nelle periferie di Roma o Milano viene considerato come un problema di ordine pubblico, qui è considerato una risorsa, «è una forma di riscatto sociale». «La cosa che mi fa più felice? - conclude il sindaco – è i bambini sono tornati a giocare per le strade di Riace».
Un’altra Calabria è possibile. Proprio abbarbicato sulle alture della Locride, terra di n’drangheta e di conflitti sociali aspri dove lo stato spesso latita, c’è un paesino, Riace, che è un miracolo di civiltà e che ha fatto della convivenza con gli stranieri la cifra della sua identità.
Rosarno, che dista poche decine di chilometri, è lontana anni luce da qui. Lontane sono le sue guerre tra poveri pilotate dalla criminalità organizzata, lontanissimi sono i calabresi che hanno perduto l’anima e sparano ai migranti, trattati come miserabili e sfruttati come schiavi.
Riace (conosciuto per il ritrovamento dei Bronzi), 1800 abitanti, di cui 250 immigrati, non è solo accoglienza di rifugiati politici. In un territorio infiltrato dalle ‘ndrine, e le cui bellezze naturali sono deturpate dagli scempi dell’abusivismo edilizio, si è imposta all’attenzione dei media nazionali e internazionali (Wim Wenders ha girato tra i suoi vicoli un corto, “Il volo”) per la raccolta differenziata condotta con gli asini (per fare un paragone basti pensare che nel capoluogo calabrese, Catanzaro, la differenziata è un’utopia), per il borgo ripopolato con le botteghe artigiane, per la costituzione di un eco-villaggio, il “Riace- Village”, riproposizione di un villaggio rurale per l’ospitalità diffusa e per il turismo sostenibile, per il “Riace Film Festival”, la prima kermesse dedicata al cinema delle migrazioni.
Tutte idee partorite dal sindaco Domenico Lucano che per questo è stato nominato, unico italiano, tra i 23 finalisti del “World Mayor Prize”, premio per il miglior sindaco del mondo (la cui raccolta di voti si chiude in queste ore), assieme, per capirci, ai sindaci di metropoli come Città del Messico, Mumbai, ecc. Ma lui, Lucano, “Mimmo dei curdi”, come viene chiamato qui in paese, non si ispira a nessuno di questi, anzi, a parlare del premio si schermisce: «Mi mette un poco a disagio, io faccio solo il sindaco con l’impegno di un militante, non ho mai abbandonato le utopie di quand’ero studente».
Nessuna affiliazione ai partiti tradizionali: Lucano è stato eletto con la lista civica “Un’altra Riace è possibile” nel 2004, e poi riconfermato nel 2009. Il Pd dei notabili calabresi non lo ha appoggiato. Ma lui aveva dalla sua il consenso del paese. «Io sono di sinistra. Punto. Mi definisco del partito di Peppino Impastato, i valori a cui mi ispiro tutti i giorni nel fare l’amministratore sono l’uguaglianza sociale, la partecipazione e la trasparenza per togliere gli agganci negli appalti con la criminalità; chiamiamola, se volete, sinistra utopica».
In compenso le minacce delle famiglie degli “omini d’onore” non sono mancate. Due pallottole contro la Taverna delle Rose, ristorante recuperato da una casa abbandonata e dato in gestione a Città Futura, la sua associazione intitolata a Don Puglisi e infine l’avvelenamento dei suoi due cani. E il pensiero corre veloce ad un altro sindaco “speciale”: quell'Angelo Vassallo ucciso qualche settimana fa nel salernitano. «Certo le minacce, ma che significa che me ne devo andare? – dice lui sprezzante – che tutti ce ne dobbiamo andare? Io non ho paura, il mio messaggio è antitetico a quello della ‘ndragheta: da una parte loro, dall’altra noi. C’è una Calabria che vuole restituire dignità alla politica».
«Gli uomini d’onore, l’antistato, – continua Lucano – danno in qualche modo risposte più rapide alla crisi di occupazione del territorio e qui sta la mia scommessa, indicare uno sviluppo diverso dal turismo di massa e dai centri commerciali, uno sviluppo che si basa sull’identità dell’essere calabrese proprio in virtù dell’accoglienza dello straniero, valore antico che si tramanda da generazioni». Il paese, racconta ancora il primo cittadino, stava subendo la stessa sorte di tanti altri dell’Appennino calabrese, lo spopolamento per le migrazioni. «Ci sono più riacesi in provincia di Torino e in Sud America che qui».
E fu un giorno del luglio '98 che al sindaco, non ancora tale, venne l’idea. «Assistetti allo sbarco di 300 immigrati e capii improvvisamente che da problema potevano diventare la soluzione». Cominciò così a dare case a famiglie palestinesi, afghane, eritree, serbe, («tutti disperati in fuga da guerre e devastazioni, tanto abbiamo imparato noi riacesi da loro»), a insegnare loro i vecchi lavori artigianali della tradizione calabrese. Oggi addirittura il saldo nascite/decessi è positivo.
Grazie agli immigrati. E, sottolinea Lucano, «abbiamo riaperto la scuola elementare dove sono più i bambini stranieri che quelli italiani». Insomma quel che nelle periferie di Roma o Milano viene considerato come un problema di ordine pubblico, qui è considerato una risorsa, «è una forma di riscatto sociale». «La cosa che mi fa più felice? - conclude il sindaco – è i bambini sono tornati a giocare per le strade di Riace».
Nessun commento:
Posta un commento